| 19 Gennaio 2017Il cinghiale (Sus scrofa): una specie che non lascia indifferenti
Dal bosco alle periferie delle città, impariamo a conoscere il cinghiale (Sus scrofa) per gestire al meglio questa specie dalle elevate potenzialità
A cura dell’Associazione Teriologica Italiana (ATIt)
Coordinamento e testi del GLAMM (Group for Large Mammal Conservation and Management – Gruppo per la Conservazione e Gestione dei Grandi mammiferi: Andrea Monaco, Enrico Merli, Luca Pedrotti, Stefano Grignolio e Paolo Ciucci), con la collaborazione di Barbara Franzetti e Lucilla Carnevali (ISPRA), Laura Scillitani (Parco Nazionale Gran Sasso Monti della Laga), Eugenio Carlini (Istituto Oikos, Milano), Nicola Ferrari (Università di Milano), Andrea Marsan (Università di Genova), Adriano Martinoli (Università dell’Insubria), Giuseppe Puddu (Riserva Naturale Regionale Monterano – Regione Lazio), Massimo Scandura (Università di Sassari) e con la collaborazione dell’Ufficio Comunicazione ATIt.
- 1) Il cinghiale è sempre esistito in Italia?
- Il cinghiale è una specie tipica della fauna europea e italiana, originariamente diffusa in gran parte della penisola. A partire dalla fine del 1500 la persecuzione diretta operata dall’uomo, accentuata dalle trasformazioni ambientali e dalla diffusione delle armi da fuoco, ha provocato una progressiva diminuzione del cinghiale che, all’inizio del XX secolo, sopravviveva con nuclei isolati solo nelle regioni tirreniche del centro e del sud Italia, nel Gargano e in Sardegna. La specie è ricomparsa sull’arco alpino nel 1919, quando alcuni animali provenienti dalla Francia colonizzarono Liguria e Piemonte; agli Anni ’50 risalgono invece gli ingressi di cinghiali in Friuli, provenienti dalla Slovenia. Dal secondo dopoguerra l’espansione della specie è stata fortemente favorita dall’intervento dell’uomo, attraverso le numerose immissioni a scopo venatorio, e oggi il cinghiale risulta distribuito senza soluzione di continuità nelle isole e dalla Calabria sino all’arco alpino occidentale, mentre nelle Alpi centro-orientali la sua presenza è ancora discontinua.
- 2) Quanti cinghiali ci sono oggi in Italia?
- Non esistono dati certi sul numero complessivo di cinghiali presenti nel nostro Paese, anche a causa delle difficoltà tecniche e i costi considerevoli che comporterebbe la stima assoluta delle consistenze. A partire dal numero di animali abbattuti è stata recentemente ricavata una stima approssimativa compresa tra 600.000 e 1.000.000 di cinghiali presenti sull’intero territorio nazionale.
- 3) Quali sono i motivi dell’espansione e del notevole incremento del cinghiale degli ultimi decenni?
- Le cause che hanno favorito l’espansione e la crescita delle popolazioni sono molteplici. Un ruolo determinante hanno avuto le massicce immissioni di cinghiali a scopo venatorio, iniziate negli Anni ’50 con soggetti catturati all’estero e proseguite con animali provenienti da allevamenti nazionali. Importante è risultato anche il progressivo spopolamento di vaste aree montane e rurali, con la conseguente diminuzione della persecuzione diretta e il recupero del bosco in zone precedentemente utilizzate per l’agricoltura e la pastorizia. A queste di origine antropica si aggiungono cause di tipo naturale come l’intrinseca elevata capacità di colonizzare nuovi ambienti, l’enorme potenziale riproduttivo della specie e le condizioni climatiche divenute mediamente più favorevoli e pertanto meno limitanti.
- 4) È vero che i cinghiali che attualmente vivono in Italia sono ormai geneticamente “inquinati” a causa delle introduzioni di razze dall’Europa centro-orientale?
- La diffusa convinzione che le ripetute introduzioni di cinghiali provenienti dai paesi centro europei e balcanici abbiano causato la scomparsa del cinghiale originario “italiano” o “maremmano” non trova conferma negli studi di genetica più recenti. I risultati delle ricerche dimostrano che il cinghiale nostrano presente oggi in Italia conserva ancora una buona porzione del patrimonio genetico originario, sebbene i segni dell’incrocio con cinghiali di provenienza estera emergano in diverse aree del Paese. Le ricerche, inoltre, se da un lato confermano il netto differenziamento della popolazione sarda, dall’altro pongono seri dubbi circa l’esistenza del cosiddetto “cinghiale maremmano”, le cui rinomate piccole dimensioni e limitata capacità riproduttiva si potrebbero ricondurre alle condizioni climatiche e ambientali tipiche della maremma toscana e laziale in cui la specie era sopravvissuta all’inizio del XX secolo.
- 5) È vero che molte popolazioni selvatiche di cinghiale sono ibridate col maiale?
- Il maiale deriva da un processo di domesticazione del cinghiale avvenuto indipendentemente in diverse aree del continente eurasiatico durante il Neolitico (circa tra 12.000 e 3.000 anni a.C.). La comune origine rende possibile l’accoppiamento tra le due forme e la produzione di ibridi fertili. L’ibridazione può avvenire in natura, laddove siano presenti maiali allo stato brado (es. in Sardegna) oppure può essere indotta dall’uomo in cattività. L’incrocio con i maiali allo scopo di incrementare il potenziale riproduttivo (maggiore numero di gravidanze e numerosità delle cucciolate) e le dimensioni dei cinghiali allevati, appare come la causa primaria della diffusione di geni domestici nella popolazione selvatica. Non è tuttavia ancora chiaro quali ne siano le ripercussioni ecologiche. I segni dell’ibridazione sono spesso visibili nella morfologia (es. colore del mantello), ma meno evidenti a livello genetico a causa di una rapida diluizione dei geni domestici nella popolazione selvatica nelle generazioni successive all’incrocio.
- 6) È vero che il cinghiale partorisce due volte all’anno e anche di più?
- Il cinghiale è l’ungulato più prolifico ed il suo periodo riproduttivo, a differenza delle altre specie, si distribuisce su vari mesi fino all’intero anno, con un picco delle nascite in primavera. Il periodo riproduttivo del cinghiale è legato al ciclo estrale che ha cadenza mensile e si interrompe solo durante la gestazione e l’allattamento. Gli incrementi annuali sono influenzati dalla disponibilità di alimento, dal clima e dalle caratteristiche della popolazione. La maturità sessuale delle femmine è condizionata dal raggiungimento di un peso-soglia di circa 30 kg e non dall’età: anche femmine di età inferiore all’anno (dai 7 mesi) che abbiano raggiunto il peso-soglia possono riprodursi. In anni in cui la disponibilità alimentare è elevata e le condizioni ambientali sono favorevoli, un numero maggiore di femmine si riproduce e le cucciolate sono di dimensioni maggiori (in media 4-6 animali). Quando le condizioni ambientali o climatiche sono meno favorevoli, si riproducono solo le femmine adulte e in migliori condizioni fisiche. In alcune popolazioni si osserva un secondo picco annuale delle nascite, meno accentuato, in tarda estate–autunno dovuto alle femmine più giovani che raggiungono il peso-soglia solo in primavera. La possibilità che in condizioni ambientali favorevoli alcune femmine adulte in buone condizioni fisiche partoriscano due volte nello stesso anno, non ha mai trovato solide evidenze scientifiche ed è da ritenersi un evento possibile, data la biologia della specie, ma del tutto straordinario.
- 7) Quali sono gli ambienti preferiti dal cinghiale?
- Il cinghiale è una specie estremamente adattabile, in grado di occupare una grande varietà di ambienti, con popolazioni più o meno consistenti a seconda delle disponibilità di cibo e rifugio e delle condizioni climatiche. In Italia la miglior combinazione di questi fattori si può ritrovare in alcuni ambienti forestali come i boschi cedui o la macchia mediterranea, laddove non vi siano climi troppo siccitosi o con neve al suolo persistente. Inoltre la specie può compiere spostamenti stagionali anche di alcuni chilometri, per sfruttare ambienti occasionalmente idonei come le aree agricole con coltivazioni appetite (es. cereali o vigneti) o addirittura le aree urbane, attratto dai rifiuti o dal cibo distribuito ai gatti randagi.
- 8) Quanto si può spostare un cinghiale?
- Dotato di arti corti e aspetto tozzo, il cinghiale può essere considerato una specie sedentaria che, tuttavia, è in grado di compiere spostamenti molto importanti, anche di decine o, in casi eccezionali, di centinaia di chilometri. L’entità degli spostamenti è molto variabile e legata alle caratteristiche dell’ambiente, al sesso e all’età degli animali, alla densità di popolazione, alla disponibilità di cibo e al disturbo antropico, in particolare la caccia. Ad esempio, subito dopo i parti le femmine restringono i loro movimenti ad un’area molto ristretta (pochi ettari), che progressivamente si ampia ad alcune decine di ettari con la crescita dei piccoli, mentre maggiori sono le aree vitali necessarie ai maschi adulti (qualche centinaio di ettari). Gli individui giovani, soprattutto i maschi, tendono invece a compiere grandi spostamenti allontanandosi dal sito di nascita anche diverse decine di chilometri.
- 9) Cosa mangia il cinghiale?
- Il cinghiale è un onnivoro opportunista con tendenza frugivora, perché pur basando la dieta sul consumo dei frutti del bosco (ghiande, castagne e faggiole), si adatta a modificare anche drasticamente l’alimentazione in base alla disponibilità. La quota principale della dieta è costituita da vegetali, dei quali il cinghiale utilizza sia le parti aeree (gemme, frutti, bacche e semi, ma anche sistemi fogliari), che le parti sotterranee (radici, rizomi, tuberi). Gli alimenti di origine animale, sono quantitativamente meno importanti ma sempre presenti in tutte le stagioni. Il cinghiale ricerca attivamente soprattutto invertebrati presenti nel terreno (lombrichi, larve, ecc.), ma consuma opportunisticamente anche altre prede (piccoli Mammiferi, nidiacei, uova, anfibi, ecc.) o carcasse di altri animali. Quando le risorse naturali sono scarse, le produzioni agricole risultano particolarmente attrattive e possono arrivare a rappresentare la quota più importante della dieta.
- 10) È vero che la presenza del lupo è in grado di limitare il numero dei cinghiali?
- Il lupo è il principale predatore del cinghiale in Italia, sebbene anche i cani vaganti (randagi o padronali), siano in grado di predare occasionalmente la specie. Il cinghiale è una delle prede più frequentemente rappresentate nella dieta del lupo, che consuma anche le carcasse di cinghiali morti per altre cause. Data l’importanza della specie per il lupo, quindi, non è un caso se il cinghiale ha contribuito significativamente alla recente espansione del carnivoro nel nostro Paese. A livello europeo l’impatto del lupo sulle popolazioni di cinghiali causa una sottrazione di individui stimata tra il 4 ed il 45% della popolazione, in particolare animali giovani, cioè quelli che darebbero un contributo modesto all’incremento della popolazione. Sebbene In Italia non siano stati condotti studi specifici, i pochi dati disponibili stimano un impatto della predazione inferiore al 10%. Date le caratteristiche biologiche del cinghiale, la predazione del lupo non è ritenuta un fattore di regolazione (ovvero in grado di mantenere la densità del cinghiale a valori inferiori rispetto a quelli che si osserverebbero in assenza di predazione) e il suo effetto è considerato essenzialmente compensatorio (ovvero gli animali predati morirebbero comunque in assenza di predazione a causa di altri fattori di mortalità). Più che limitare il numero di cinghiali, si ritiene quindi che il lupo contribuisca a mantenere in buone condizioni le popolazioni, sottraendo gli individui più deboli o in peggior stato di salute.
- 11) Il cinghiale è in grado di provocare impatti sulla biodiversità?
- Il cinghiale è una specie capace di provocare profondi cambiamenti, in particolare, agli ecosistemi forestali e prativi. Onnivoro e opportunista, scavando alla ricerca del cibo, può alterare profondamente le caratteristiche del suolo e del manto vegetale, accelerando i processi di decomposizione della sostanza organica del suolo stesso. Il cinghiale è inoltre in grado di consumare un gran numero di specie di animali terrestri e acquatici. Non va tuttavia dimenticato che è stato l’uomo a rendere il cinghiale una presenza “problematica” anche per la biodiversità; infatti gli impatti più significativi sulla biodiversità sono stati registrati in aree in cui il cinghiale è stato introdotto, in quanto specie non nativa, o dove è stato favorito l’innaturale aumento delle densità. Infine occorre ricordare che se da un lato il cinghiale costituisce una minaccia per la conservazione di determinate specie, dall’altro può avere, in alcuni contesti, un effetto positivo, ad esempio contribuendo all’aumento della biodiversità floristica.
- 12) Quali e quanti sono i danni che il cinghiale causa alle attività umane?
- Quando le risorse naturali risultano insufficienti o più difficilmente accessibili, il cinghiale, grazie alla sua adattabilità, non esita ad utilizzare risorse di origine antropica, causando danni diretti e indiretti ad agricoltura e zootecnia. I danni all’agricoltura, provocati da consumo diretto, attività di scavo e calpestio, sono molto variabili, a seconda delle disponibilità di risorse naturali, ma anche della morfologia del paesaggio e dell’assetto agronomico. Il cinghiale è in grado di danneggiare praticamente tutti le tipologie colturali, dai prati pascolo ai cereali e alle produzioni ortofrutticole, arrivando talvolta a compromettere porzioni molto rilevanti del raccolto. In Italia non si hanno dati esaustivi sull’impatto del cinghiale sull’agricoltura, ma stime recenti indicano la specie quale responsabile del 90% dei 10 milioni di Euro di danni causati all’anno dagli Ungulati. La zootecnia, oltre a risentire del deterioramento delle aree pascolive e sottrazione di foraggi, può essere interessata da infezioni in grado di ridurre la produttività zootecnica o, nei casi più critici, determinare l’applicazione di misure obbligatorie di polizia veterinaria quali l’abbattimento di tutti gli animali presenti negli allevamenti infetti o il blocco delle movimentazioni di animali e loro derivati dall’area interessata dall’infezione.
- 13) Si possono prevenire i danni causati dal cinghiale?
- I vari sistemi di prevenzione dei danni da cinghiale ricorrono a dissuasori di tipo chimico (olfattivi o gustativi), acustico (i cosiddetti “cannoncini” o altre fonti sonore più diversificate) o a barriere meccaniche o elettriche. L’efficacia e il costo di applicazione dei diversi sistemi variano in relazione alle modalità di applicazione e alle caratteristiche delle colture da proteggere; quindi la scelta va fatta valutando con attenzione il rapporto tra costi e benefici. Il sistema più diffuso e meno impattante sull’ambiente prevede l’installazione di recinzioni elettrificate, attive tutto l’anno o nei periodi di effettivo pericolo. Dato che la specie non corre rischi dal punto di vista conservazionistico, i danni alle attività antropiche possono essere limitati anche attraverso una programmazione del prelievo venatorio finalizzata a tale obiettivo.
- 14) Si può limitare il numero di cinghiali tramite il controllo della fertilità?
- Il controllo della fertilità può essere attuato mediante sterilizzazione chirurgica o vaccini contraccettivi. La sterilizzazione chirurgica, implicando cattura, intervento chirurgico e decorso post-operatorio degli animali, determina elevati sforzi economici e logistici. Allo stato attuale sono disponibili solo vaccini contraccettivi la cui somministrazione può avvenire tramite iniezione, rendendo necessaria la cattura degli animali al fine di iniettargli la corretta dose di vaccino; ciò comporta evidenti limiti sul numero di animali trattabili. Inoltre i vaccini attualmente disponibili non garantiscono un’efficacia illimitata nel tempo ed è possibile che gli animali trattati riprendano a riprodursi. Indipendentemente dalla tecnica e dai vaccini utilizzati, per garantire una riduzione rilevante della capacità riproduttiva del cinghiale, è necessario sterilizzare in poco tempo la stragrande maggioranza delle femmine di una popolazione. Tale obiettivo è ad oggi impossibile da raggiungere nelle popolazioni a vita libera per evidenti motivi di ordine pratico ed economico.
- 15) Qual è l’effetto della caccia sulle popolazioni di cinghiale?
- La caccia al cinghiale in Italia si svolge prevalentemente con il metodo della “braccata”, in cui una muta di cani, spesso molto numerosa e condotta da pochi cacciatori, spinge i cinghiali verso i tiratori posizionati tutto attorno all’area di caccia. La caccia in braccata, a differenza della mortalità naturale, si concentra sugli individui adulti (in particolare maschi e giovani), e provoca un’alterazione della struttura naturale delle popolazioni, abbassando progressivamente l’età media degli animali. Il disturbo provocato da questa forma di caccia altera il comportamento dei cinghiali che, oltre a diventare più schivi e attivi quasi solo di notte, possono arrivare a spostarsi anche per decine di chilometri. L’aumentata mobilità degli individui e la destrutturazione delle popolazioni possono influenzare la dinamica di trasmissione delle infezioni, favorendone il mantenimento nelle popolazioni di cinghiale o incrementandone diffusione (anche ai domestici e all’uomo).
- 16) Il cinghiale è un pericolo per l’uomo?
- Il cinghiale è una specie elusiva generalmente non pericolosa per l’uomo. Gli attacchi diretti all’uomo sono rari ma talvolta in grado di causare ferite anche letali, e sono provocati per lo più dalla reazione di animali feriti nel corso di un’azione di caccia. Attacchi si possono verificare anche nel periodo riproduttivo o di allevamento della prole, come risposta aggressiva ad una situazione che l’animale percepisce come pericolosa. Anche l’interazione tra cinghiale e cani padronali non tenuti al guinzaglio può rivelarsi pericolosa nel caso in cui il padrone intervenga a protezione del proprio cane. Il pericolo più consistente per l’uomo deriva tuttavia dalle malattie che il cinghiale è in grado di trasmettere (zoonosi). Tra le principali malattie trasmissibili troviamo la trichinellosi che è una malattia parassitaria che viene contratta consumando carni crude o poco cotte di soggetti infestati. Esistono inoltre ulteriori malattie, quali Brucellosi, Epatite E e tubercolosi, il cui rischio di trasmissione si limita mediante una adeguata formazione dei cacciatori al trattamento dei capi abbattuti e al rispetto delle norme ispettive e igieniche.