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| 20 Luglio 2017

Ecologia e conservazione dei piccoli mammiferi

 

Nell’immaginario collettivo quando si pensa ad un mammifero si fa riferimento ai grandi erbivori africani o ai grandi carnivori, quali leoni, tigri e orsi. La realtà è che un numero sorprendentemente esiguo di persone è a conoscenza del fatto che circa il 90% delle specie di mammiferi possiede un peso corporeo inferiore ai 5 kg, o che delle 5.418 specie attualmente conosciute appartenenti a questo gruppo, ben 2.700 rientrano nell’ordine dei Roditori. Grazie ad una grandissima radiazione adattativa, questo gruppo di mammiferi ha colonizzato la maggior parte degli ambienti del nostro pianeta: dai deserti alla tundra artica, dagli ecosistemi forestali alle zone aperte, dalle pianure alle montagne più alte (in Italia l’arvicola delle nevi, Chionomys nivalis, è presente a più di 4.000m di altitudine), fino ad arrivare a colonizzare anche gli ambienti antropizzati (es. ratti, Rattus spp. e topolini domestici, Mus musculus).

Il successo di questo gruppo di mammiferi è dovuto principalmente alle loro caratteristiche ecologiche e biologiche, come ad esempio, una grande potenzialità riproduttiva (sia in termini di numero di piccoli per cucciolata che di numero di cucciolate per anno) e una vita media piuttosto breve, che in genere non supera i due anni. Queste caratteristiche consentono loro veloci adattamenti alle modificazioni ambientali e rapide colonizzazioni di nuovi habitat. Inoltre, le piccole dimensioni del loro corpo permettono l’occupazione di numerosi microhabitat e l’utilizzo di molte risorse trofiche difficilmente fruibili da parte di altri vertebrati. D’altro canto avere un corpo piccolo comporta un maggior dispendio di energie e calore corporeo (per l’elevato rapporto superficie/volume), che rende necessario un rifornimento alimentare frequente ed abbondante: un toporagno comune (Sorex araneus), ad esempio, necessita giornalmente di una quantità di cibo pari all’80-90% del peso corporeo.

I piccoli mammiferi svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione dei processi che sostengono gli ecosistemi naturali. Costituiscono dei “nodi” fondamentali alla base delle reti trofiche, in quanto prede relativamente abbondanti e diffuse, indispensabili per il sostentamento di numerosi altri vertebrati. Sono molti i predatori che basano la loro dieta quasi esclusivamente su questo gruppo di mammiferi. Tra questi vi sono uccelli, come il barbagianni (Tyto alba) e l’allocco (Strix aluco), altri mammiferi, come faine (Martes foina), martore (Martes martes) e volpi (Vuples vulpes), rettili, come vipere (Vipera spp.), saettoni (Zamenis longissimus), biacchi (Hierophis viridiflavus) e tanti altri.

I roditori, In quanto consumatori primari, si alimentano quasi esclusivamente di specie vegetali, in particolare di semi, frutti, fiori e spore fungine. Inoltre alcune specie, come gli scoiattoli (Sciurus vulgaris) e i topi campagnoli (Apodemus spp.), sono soliti spostare e seppellire ghiande ed altri frutti, per costituire delle vere e proprie dispense alimentari sparse nel loro territorio e funzionali al loro sostentamento invernale. La loro dieta, e in particolare questo comportamento, rende questi animali degli importanti agenti di dispersione dei semi e spore fungine, contribuendo attivamente al rinnovamento e all’espansione di numerosi habitat. La pressione trofica esercitata dai roditori può essere così rilevante che la loro presenza in un determinato territorio condiziona la composizione floristica e favorisce un aumento locale della ricchezza di alcune specie vegetali.

Gli insettivori, in generale, presentano una maggiore specializzazione alimentare rispetto ai roditori, utilizzando quasi esclusivamente fonti di cibo di origine animale. Il ruolo ecologico degli insettivori è dunque quello di piccoli predatori (consumatori secondari) di insetti e larve, attivi soprattutto a stretto contatto col terreno, nella lettiera dei boschi, fino all’ambiente sotterraneo. Questa grande attività predatoria può condizionare la struttura delle comunità degli invertebrati del suolo: generalmente produce una riduzione della dominanza con aumento della diversità e della ricchezza specifica. L’azione degli insettivori sugli invertebrati del suolo è comunque più complessa della semplice predazione diretta e comprende, tra l’altro, il continuo apporto di sostanza organica che questa componente fornisce alla catena trofica dei decompositori.

Con la loro significativa attività di scavo, molti piccoli mammiferi favoriscono anche la circolazione verticale delle sostanze nel suolo, ne permettono l’ossigenazione, la mineralizzazione della sostanza organica in esso presente e ne aumentano la capacità di ritenzione idrica. Per dare un’idea delle capacità di scavo, alcuni studi hanno dimostrato che una talpa (Talpa europaea) può asportare fino a 6 kg di terreno in venti minuti di scavo. Inoltre i cataboliti prodotti dai piccoli mammiferi, così come la decomposizione del materiale organico da loro accumulato e dei loro stessi corpi, fertilizzano il suolo, apportando nutrienti anche agli strati inferiori, che di solito ne sono particolarmente poveri.

Nonostante l’indiscutibile importanza del ruolo ecologico operato dai piccoli mammiferi, la maggior parte degli sforzi di ricerca, nonché l’allocazione di fondi economici è stata prevalentemente indirizzata verso specie più grandi, considerate più carismatiche. La visione che il pubblico ha dei piccoli mammiferi è influenzata negativamente dalla presenza nel gruppo di alcune specie considerate dannose per gli interessi umani (in primo luogo per la resa delle colture) come il ratto nero (Rattus rattus), il ratto delle chiaviche (Rattus norvegicus) e il topolino domestico (Mus musculus), nonostante queste siano meno del 5% delle specie totali. L’uso indiscriminato di metodi come i pesticidi, per eliminare o ridurre i danni provocati da queste specie ha spesso portato a ripercussioni gravi, con effetti a cascata su tutta  la catena alimentare fino a coinvolgere l’uomo.

Allo stato attuale in Italia vengono annoverate 48 specie tra roditori e insettivori (40% delle specie di mammiferi presenti sul suolo nazionale), sebbene alcune di esse siano state introdotte dall’uomo, come la nutria (Myocastor coypus), lo scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis) o il topo muschiato (Ondatra zibethicus). La Lista Rossa della IUCN, l’Organizzazione Mondiale per la Conservazione della Natura, considera la maggior parte dei piccoli mammiferi italiani come Least Concern, ovvero il più basso grado di minaccia. Ciò può risultare vero per alcune specie cosmopolite o ampiamente diffuse come il topolino domestico (Mus musculus), diverse specie di arvicole (genere Microtus) e le specie di topo selvatico (genere Apodemus), ma in altri casi queste valutazioni sono spesso arbitrarie in quanto non supportate da evidenze sperimentali sullo status reale delle popolazioni e sulle principali fonti di minaccia. Come conseguenza, per alcune specie sono in opera misure legislative comunitarie e/o nazionali inadeguate.

Nella maggior parte dei casi il declino delle popolazioni è da imputarsi alla perdita e frammentazione dell’habitat, all’uso di pesticidi e all’introduzione di specie alloctone che predano o entrano in competizione con le nostre specie. Esempio emblematico di questo ultimo caso è quello dello scoiattolo rosso indebolito dall’introduzione ad opera dell’uomo dello scoiattolo grigio di origine americana. Per le due specie di toporagni acquatici presenti in Italia (genere Neomys) si sospetta un declino delle popolazioni dovuto ad una perdita di habitat causato dall’eccessivo sfruttamento delle aree umide in cui queste specie vivono. Situazione analoga si ha per il Sorex alpines, una delle poche specie di piccoli mammiferi italiani classificata dalla IUCN come prossima alla minaccia (Near Threatened).

Associazione Teriologica Italiana Onlus
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